mercoledì 8 novembre 2017

La politica non è una cosa seria

M’ero ripromesso di non parlare più di politica. Quella fatta dai protagonisti dell’audience, quella devota al consenso, quella che adopera bugie e marketing come fossero aspirine e saggi di filosofia. Quella cosa triste per cui se un giornalista deve intervistare un leader deve essere egli stesso, per primo, un leader, una star televisiva. Perché, è cosa ormai nota, i cittadini sono dei consumatori e la democrazia un mercato.
M’ero ripromesso di non parlare più di politica, perché poi divento pesante. E la gente, si sa, oggi ha la fissa della linea. Per quello non legge e non s’accultura ma preferisce fruire di input snelli e istantanei come le foto e le citazioni.
Mi ero ripromesso tutto questo, ma nessuno dice più la verità. Nessuno è immune dalla menzogna. E cosi parlerò un’altra volta, spero l’ultima, e sempre a me stesso, di questo carrozzone mediatico, come lo definiscono da più parti, che è diventato la politica. Tanto più che s’avvicinano le elezioni nazionali e i personaggi in campo sono costretti – o magari gli fa piacere veramente spinti da quell’insanabile egocentrismo di cui si nutrono – a mostrare denti, a fare facce accattivanti, a dispensare frasi per titoli in prima pagina che gli faranno prendere o perdere migliaia di voti.
Evitando analisi succinte sugli scenari politici postumi, sulla nuova deriva a destra del paese e dell’Europa, sulla scelta fra il ritorno al Vintage o alla cavalcata verso il Nulla, il mio pensiero in questo momento è rivolto più che altro alla comunicazione politica. Sempre più carente, sempre più spicciola, sempre più vacua in ogni sua componente: dagli interlocutori, passando per i contenuti, per arrivare ai feedback.
Ne è l’esempio lampante l’intervista a Renzi andata in onda ieri sera su La7. Doveva essere un confronto tra lui e Di Maio, altro leader in campo – lo so non è uno scherzo – ma sappiamo tutti come è andata.
Ma il fatto è che è andata anche peggio. M’è parso di assistere ad uno di quei tristi remake dal titolo “Renzi contro tutti”, dove il segretario del Pd recitava la parte del “buono” che si difendeva in ogni modo possibile col suo scudo magico dagli attacchi scagliati dal “potentissimo” e “acerrimo” rivale Floris, dotato di occhiali laser. Roba che manco gli X-Men. Una recita di basso livello, copioni male interpretati da entrambi i protagonisti. E non è che è andata tanto meglio quando sono entrati in scena i vari comprimari: Sallusti, Giannini e Franco. Quest’ultimo, almeno, meritevole di non aver cercato un ruolo principale per il nuovo film di Sorrentino.
Se Renzi ha avuto e avrà sempre il demerito di credersi migliore e più scaltro di chiunque altro, i suoi interlocutori hanno perlomeno peccato di accanimento terapeutico, tirando fuori ossessioni e accuse che chissà da quanto covavano. Certo, viene da chiedersi quale ne sia il reale motivo. Purtroppo, però, ancora una volta, di costruttivo non c’è stato nulla per il paese e per tutti quelli che si illudevano di aver ritrovato un leader o almeno un buon programma televisivo.
Un paese, che è bene ricordarlo, sta indossando nuovamente la camicia nera senza che nessuno opponga una minima e seppur flebile forma di resistenza.


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