di Lorenzo Fois
Totti
primo cittadino, Jeeg Robot d’acciaio assessore alla scultura, il Tevere
balneabile, i gatti d’Oriente.
E
poi ancora: gravidanze simbolo, scherzi di cattivo gusto (tipo Adinolfi
sindaco), la controversa vicenda dello stadio di Tor di Valle, morti improvvise
(quella di Casaleggio) ma non impreviste (era malato da tempo).
Sembra
la sceneggiatura di un film di Maccio Capatonda o magari la trama per una
nuova, avvincente indagine del commissario Coliandro. Chissà se un giorno perfino
Lercio.it diverrà la nuova gazzetta
ufficiale!
Le
elezioni amministrative per il comune di Roma (e non solo) stanno per arrivare,
giacché, è bene ricordarlo, sono diversi mesi che i cittadini romani non hanno
alcun sindaco, ovvero il garante democratico dell’amministrazione pubblica.
In
questi mesi sui social network sono imperversati post, pagine facebook,
commenti “memorabili”. I sondaggi d’opinione sono stati belli e sostituiti da
queste nuove forme di democrazia digitale e con essa perfino il giornalismo è
diventato un miscuglio di informazione e gossip (infotainment), sbilanciato sempre più verso quest’ultimo.
Molto
più utili, a fini della strategia ottimale da utilizzare durante la campagna
elettorale, e non solo, sono le nuove figure professionali di cui si serve
(anche) la politica per ricavare informazioni utili provenienti da queste
migliaia di flussi di dati (qualcuno ha scritto che Internet è il nostro
secondo dna), da utilizzare con cura, in un secondo momento, sotto il versante
della comunicazione, della pubblicità e del marketing. Questo la dice lunga
sullo stato di salute della “nostra” democrazia. Insomma, il “cittadino
consumatore”: niente di nuovo sotto al sole.
Ciononostante,
l’essere umano deve sapersi adattare alle mutate condizioni esterne se non vuole
soccombere, per una strabica quanto innata legge di natura, e non si possono
negare nemmeno gli aspetti positivi che le nuove forme di comunicazione hanno
introdotto.
L’intellighenzia critica i blog, tacciandoli di
scarsa professionalità e competenza. C’è chi sostiene, al contrario, che forse
le cose più interessanti si possono leggere ormai solamente su questi mezzi d’informazione,
scevri da potentati economici che li muovono e li indirizzano dove meglio
credono.
La
democrazia, insomma, è in perenne trasformazione (almeno per quanto concerne le
sue modalità d’espressione), ma il voto popolare, quello no, resta il caposaldo
di questa forma di governo. Se non fosse che con il passare del tempo e delle
diverse esperienze (destra, sinistra, centro, su e giù) numerosi cittadini
hanno iniziato ad interrogarsi realmente sul vero significato del voto e sulle
sue conseguenze.
Prendiamo
in considerazione proprio Roma: tutte le campagne elettorali a cui abbiamo
assistito negli ultimi quindici anni hanno parlato di strade, sicurezza, mezzi
pubblici, traffico, tutela dell’ambiente. Bene, le strade sono messe sempre
peggio, i mezzi pubblici recano disservizi unici al mondo (perché laddove non
esistono, nel terzo mondo, il problema non si pone), il traffico e l’inquinamento
hanno condotto a trovate di facciata, spesso ridicole, quali il blocco del
traffico o le targhe alterne. E così via. Ogni problema esistente a Roma non
viene mai risolto. E questo perché – è la tesi più plausibile – Roma è una
città troppo grande, in cui hanno sede governo, Parlamento e tutta la miriade di
ministeri, enti pubblici che rendono ancora più intricato e complesso qualsiasi
processo di trasformazione.
Roma
è in tilt, paralizzata dalla burocrazia, dalla corruzione, dall’inciviltà della
grande maggioranza dei suoi abitanti. Roma è il posto peggiore per far
funzionare la democrazia, almeno così come la conosciamo. È se è sempre vera la
massima: “se non ti occupi della
politica, la politica si occuperà di te”, non si può negare che in questo
particolare periodo storico, in cui il capitalismo sembra avere avuto la meglio
sulla democrazia, tanto da spingere perfino la sinistra sempre più a destra per
non rimanere “fuori dal mondo”, la voce dei cittadini è diventata sempre più
flebile e il voto popolare appare sempre più uno specchio per le allodole. Come
risolvere il problema?
Nessuno
ha la bacchetta magica e i problemi atavici di una città e di una collettività
non possono certo essere risolti da trovate sensazionalistiche o da futile
propaganda elettorale. Occorre affidarsi al buon senso e dare tempo a chi opera
ai vertici dell’amministrazione, cosa che, ad esempio, non è stata fatta con il
sindaco dimissionario. Ma anche vigilare, nell’ottica di una cittadinanza
attiva, sulla politica e sui suoi amministratori.
Per
farlo, occorre forse applicare un principio “federalista” anche all’interno della
città (almeno di una città come Roma), affidando maggiori responsabilità ai
municipi. Maggiore responsabilità implica anche maggiore controllo. Potrebbe non essere l’equazione
vincente, quella individuata da Giachetti, ma forse l’ultima occasione buona
per provare a cambiare qualcosa negli ingranaggi sempre più inceppati di Roma.