lunedì 26 maggio 2014

Tra rigore e populismo


di Lorenzo Fois

È l’alba di un nuovo giorno, quasi dappertutto in Europa. Non è un’alba dorata, ma nemmeno un’alba chiara. È una deviazione improvvisa, ma non imprevista. È il probabile fallimento di un progetto nato nel 1979 con l’intento di far avvicinare i cittadini all’Unione. I dati parlano di un’affluenza in leggero rialzo rispetto alle ultime elezioni, interrompendo dunque un trend negativo che si protraeva imperterrito dagli anni Ottanta. Ciononostante i dati aggiungono qualcos’altro: in buona parte dei paesi europei si sono affermate forze politiche contrarie all’Unione europea e favorevoli alla guerra di Troia. Il cavallo vincente: la critica all’euro, alle istituzioni remote, alle banche. I moderati ancora comandano, ma solo perché i seggi vengono attribuiti in relazione al numero degli abitanti di ciascun paese (principio della proporzionalità decrescente).
Francia e Regno Unito su tutte, ma anche Austria, Belgio e in misura minore altri stati (Polonia, Olanda, Danimarca) hanno ascoltato le sirene antieuropeiste dell’estrema destra. Quella delle svastiche, del razzismo, del nazionalismo, della caccia alle streghe. La Grecia ha virato radicalmente a sinistra, verso Tsipras, la sinistra nostalgica e, per qualcuno, qualunquista. Solo la Germania conservatrice e popolare della Merkel ha tenuto ma questo dato non stupisce: sono loro i padroni dell’Impero. Sono loro i più forti, i più numerosi, i più laboriosi e i più egoisti.
In generale, popolari e socialisti (il centro-destra e il centro-sinistra europei) sono scesi, in termini di seggi, pur restando relativamente in vantaggio rispetto ai populisti, ai verdi, ai liberali, ecc. Fra cinque anni, se l’Europa non cambia ritmo, è probabile tuttavia che queste forze politiche non avranno più la maggioranza …
Non sarà facile governare la prossima Europa, divisa tra rigore e populismo. Il Ppe reclama la presidenza della Commissione, forte del vantaggio relativo sul Pse e sugli altri partiti, ma la “politica dell’austerità” ha dato i primi segni di opposizione tanto che in Francia, ad esempio, il Front National si è affermato come prima forza. Doveva accadere lo stesso anche in Italia, col Movimento 5 stelle pronto a reclamare, già durante la campagna elettorale, la testa di Renzi e Napolitano. E di tutti quelli che non la pensano come loro. Ma alla fine Grillo è stato pugnalato al cuore, alle idi di Giugno e del semestre alla guida della presidenza europea che spetterà all’Italia. E dunque a Renzi.
Un’Italia che in mezzo a mille incertezze e guai ha riscoperto il valore delle tradizioni e delle vecchie maniere. Il centrismo è tornato in auge, se mai avesse abbandonato la nave. La Democrazia Cristiana, svuotata del suo appiglio religioso, ha cambiato faccia (il PD è leader del Pse e non del Ppe) ma si è ripresentata compatta alla prova del nove. La Dc, che come sappiamo, difficilmente sbaglia gli appuntamenti elettorali, ora dovrà dimostrare di voler davvero cambiare l’Europa, anche se non governerà, o non lo farà direttamente. L’Italia ha scelto la strada europea, e questo di per sé è un segnale di virtuosismo politico e di severa bocciatura di un populismo che, in altri paesi più altisonanti del nostro, ha invece riscosso ampi successi. Ma la partita non è chiusa, al contrario, è appena iniziata.
L’equivoco di fondo, infatti, è stato sempre quello di aver presentato le elezioni europee come una replica delle elezioni politiche nazionali. Non è così. Il Pd ha vinto in Italia ma non in Europa, dove il Ppe rimane forza di maggioranza all’interno del Parlamento europeo. Il rigore, insomma, è sempre a portata di mano. Le ricette del medico sembrano essere sempre le stesse. Il Pd saprà cambiare farmaco o aspetterà il suo turno pazientemente in sala d’attesa?

martedì 20 maggio 2014

Le (e)lezioni europee


di Lorenzo Fois

Il prossimo fine settimana, oltre alla gitarella fuori porta, magari favorita dall’ingresso finalmente convincente della “bella stagione”, non dimenticate di compiere il vostro dovere …
Niente paura, nessuna tassa!
Stavolta …
Se non ve ne eravate accorti, oltre ad essere bagnata dal mar Tirreno, Adriatico e Ionico – il Mediterraneo come lo fanno studiare a scuola – l’Italia confina in tutti i punti delle sue frontiere a nord con il resto del continente europeo. Strano a dirsi: l’Europa esiste, è qui vicina a noi, basta attraversare il confine senza nemmeno bisogno di cambiarsi i vestiti. Il clima è simile, salvo casi specifici, cambiano il cibo, le persone, i nomi delle squadre di calcio e dei fiumi. E anche dei laghi, ovviamente, e delle montagne. Si può perfino scegliere di eleggere nostri rappresentanti nazionali deputati alla carica di parlamentari europei. Il top del top, a ben vedere => (cercasi disperatamente occhiali da vista)!!!
Ma l’Europa, la cara e vecchia Europa, quella famosa un tempo per i conflitti bellici, per la musica inglese, per le crepes francesi e il risotto alla milanese; la triste, obsoleta eppur sempre romantica Europa, quella della Torre Eiffel, del Colosseo e della Corrida; la malinconica, malconcia ed anche bigotta Europa, l’Europa del valzer, del cornetto Algida, delle culotte e del segno della croce .. Ebbene, l’Europa che non gode certo di buona salute e che si contende l’ultima crosta di pane secco rimasto sul tavolo apparecchiato a festa, ecco, quest’Europa sembra non appartenerci. Quest’Europa è lontana, è impervia, è misconosciuta, sgradita! È buona soltanto per le partite di calcio del martedì e del mercoledì. Ma l’Europa è destino o condanna per una comunità? Chi risponde a questa domanda?
Dovrebbero farlo i politici nazionali. Dovrebbero dirlo nei loro programmi. Dovrebbero spiegarci cosa intendono costoro per Europa. Ma forse, questi, conoscono bene soltanto l’elezione più che la lezione.
I voti: si regge tutto su questo. La democrazia è consenso. Il consenso di chi? Dei poveri? I poveri c’hanno fame e vogliono magnà!
Italiani: sabato e domenica prossimi si vota per il parlamento europeo. Vi prego, non emozionatevi troppo …
Immagino l’espressione dei molti totalmente indifferenti, se non addirittura (euro) scettici. E immagino quanti eroici disillusi si rechino alle urne non conoscendo affatto il modo di votare, perché l’Italia è l’unico paese che prevede quattro o cinque leggi elettorali diverse a seconda del tipo di elezione …
Avete ragione tutti, come biasimarvi. Per di più che da qualche settimana imperversa la solita giostra televisiva della propaganda elettorale.
Abbiamo avuto modo di vedere e sentire i più diversi protagonisti politici nelle loro tristi campagne (a dire il vero meno del solito). Ho sentito parlare molti critici dell’euro, la moneta comune europea, anche se non avevano un’idea minima della propria moneta e dei suoi (difficili) principi economici. Ho ascoltato i soliti demagoghi, arruffoni e approfittatori. Ho capito che non se ne salva nessuno e che nessuno soprattutto ha in mente un’Europa. Né quelli che ne parlano bene, né quelli che la vogliono distruggere. Parlare di un’Europa diversa, nuova, inclusiva, partecipativa. Un’Europa e basta! C’è qualcuno che lo fa? Si continua a parlare di Europa solo perché un giorno, ogni quattro-cinque anni, avranno luogo delle elezioni.
Qualcuno lo chiama “il teatrino della politica”. Per me è offensivo parlare di teatrino, offensivo nei confronti del teatro, ovviamente. In realtà sono le solite (e)lezioni europee, quelle da cui non se ne ricava mai nulla di buono. Quella materia che è inutile studiare a scuola, ché tanto il professore non te la chiederà mai. Quella materia su cui non vale la pena tenersi aggiornato, perché tanto sta per chiudere i battenti.
Mi domando allora: se sul regno di Carlo V “non tramontava mai il sole” e, secoli dopo, ai tempi di Winston Churchill, sull’Europa si era abbattuta una “cortina di ferro”, “su di noi”, come si chiedeva Pupo tanti anni fa, in quest’Europa, cosa succederà di tanto importante?


domenica 11 maggio 2014

(Fatti) di cronaca


di Lorenzo Fois

Scajola è stato arrestato, come dicono molti, a sua insaputa. Dell’Utri, condannato, è in gita a Beirut. Berlusconi è al centro anziani, ma come membro dello staff. Lusi non se la passa meglio, primo deputato vittima dell’autorizzazione a procedere. Renzi intanto attacca i sindacati, il sindacato si divide e Marchionne si sfrega le mani. La Camusso russa, Landini sputa e Bonanni sta cercando disperatamente di prenotare un tavolo per tre al ristorante, ma trova sempre occupato. Letta e Bersani sono stati avvistati a fare attacchinaggio nei pressi del lungotevere. Pare che siano stati denunciati per atti osceni in luogo pubblico.
Destra, sinistra, centro: non fa differenza per il Movimento. “Tutti al gabbio!”. Insieme ai delinquenti qualunque, insieme agli innocenti, insieme a chi ruba per non morire di fame. Insieme agli evasori fiscali, vicino agli strozzini, compagni di cella di un manager che ha truccato i conti della società. Tranquilli, ci pensa Grillo a fare giustizia, anche se deve stare bene attento a non bruciarsi i capelli e a sporcarsi il piumino d’oca. Ci pensa Grillo a riportare la nave in acque più sicure, vicino a dove ha ormeggiato la sua barca, più o meno.
Gli zingari scroccano e rubano. I romeni bevono e rubano. I negri puzzano e rubano.. E gli italiani, poverini, come fanno ora con tutta sta concorrenza? È un mondo difficile, un tempo incerto, un clima ostile, una stagione critica. La metro è guasta, l’ascensore è fermo, le scale sono bagnate e la brum del capo ha un buco nella gomma.
Le elezioni europee incombono, ma l’attesa è tutta per i Mondiali … Prandelli convocherà Balotelli? Balotelli si, Balotelli no? Sono in corso le consultazioni con il Presidente della Repubblica: si va verso la fumata bianca, anche se il giocatore è nero.
Come dimenticarsi, infine, del massimo pontefice. Papa Francesco, a cui la gente vuole bene per via di quel suo faccione simpatico e sorridente, per quel suo modo di parlare diretto al cuore, per quel suo accento da spacciatore di sorrisi sudamericano. La Chiesa si sta rinnovando, o cosi pare. Al momento ci hanno comunicato che la Santa Sede provvisoria non è più a San Pietro ma a San Vincent. Il problema ora è il divieto di gioco per i minori. E sappiamo la Chiesa quanto abbia a cuore le giovani pecorelle.

martedì 6 maggio 2014

Un sabato qualunque


di Lorenzo Fois

“È un sabato qualunque, un sabato italiano, il peggio sembra essere passato”, cantava Sergio Caputo nel 1983. L’Italia aveva da poco conquistato la Coppa del Mondo, i tristi presagi del declino erano, al più, materiale per indovini e aruspici. C’era il partito comunista, la democrazia cristiana, il partito socialista. Ci stavano tutti, e l’esito sappiamo qual è stato. Il calcio non era ancora la religione del mondo, o meglio del paese. I giocatori non avevano tatuaggi sul corpo, indossavano pantaloncini più corti e gli scarpini erano di un solo colore, il nero. Il mondo è cambiato da allora, la politica è cambiata, il calcio è cambiato. Gli stadi, tuttavia, sono rimasti gli stessi identici e fatiscenti ovali buoni al massimo per assistere ad una corsa ippica. Anche le televisioni hanno giocato la loro sporca partita in questa tragica e stupida vicenda. La crescita delle tv via cavo è infatti stata direttamente proporzionale allo svuotamento degli stadi, fenomeno in forte crescita in Italia e legato senza dubbio alla scarsa qualità degli impianti e alla pericolosità sempre più marcata di quelli che vengono definiti ultras. Genny ‘a carogna è uno di quelli, cosi come il De Santis, Speziale, e tutti quei criminali prestati allo sport. Tutti pseudo tifosi di una squadra, che inneggiano cori e sventolano mani tese al cielo, con la lama infilata nel calzino, e cercano visibilità dietro gesti eclatanti, mettendo sotto scacco lo Stato, come si è sentito dire più volte in questi giorni, ma che allo Stato, o al Contro-Stato, sono strettamente legati. Le facce sono quelle delle serie televisive incentrate su affari malavitosi e spargimenti di sangue. Gli occhi fanno da cornice a pupille dilatate da cocaina, alcool e rabbia. Rabbia per cosa? Per un lavoro che manca, per una donna che non sia la solita prostituta di via Salaria, per un’avversione campanilistica che assume i tratti della guerra civile? No, niente di tutto questo. Questa è gente che non lavora, non ama, non tifa. Questa gente è il reflusso di questa società, di una società malata, che ha creato falsi miti, che ha distrutto il vecchio in nome di un nuovo ancora incerto e indefinito. Di una società che ha occhi solo per la Domenica Sportiva e per i suoi opinionisti da quattro soldi, che crede alle parole di esperti di calcio mercato neanche fossero dei Pasolini o dei Montanelli, che guardano la telecamera e intanto sbirciano sul loro smartphone così, tanto per darsi un tono. Una società, un insieme di individui che ha perso la bussola e non capisce chi ha la palla e qual è la porta dove si deve segnare.
Il calcio è l’oppio dei popoli. E questo, di per sé, è sbagliato. Il calcio è sbagliato. Tutto quello che ruota intorno al calcio è sbagliato: Figc, Coni, Sky, Mediaset, Rai, Curve, giocatori, papponi seduti in tribuna d’onore.
La moralità italiana è quella cosa per cui si condanna chi ruba perché si è fatto beccare. È quella cosa per cui un insulto ad un negro vale di più di uno ad un ebreo o ad un cristiano. Tutti pronti a parlare, ad intervenire, ad attaccare. Si da la colpa a qualcun altro o a qualcosa per comodità, per lavarsi la coscienza. E poi, il giorno dopo, si ricomincia da capo. Dal punto di partenza, da nessun punto. Il moralismo italiano è una presa per il culo. Ora tutti in fila a dire la propria parola sentenziosa su Gennaro ‘a carogna. Persona, per carità, di indiscussa fetusia, per usare un termine neomelodico. Un individuo da mettere dentro ancora prima di vederlo nascere. Un uomo inutile al mondo. Ma ad un mondo che non esiste più, come il sabato di cui cantava Sergio Caputo. Il mondo di oggi è il prodotto di questa società, se non si fosse capito. Se il sabato è finito, perciò, il peggio non è ancora passato.