giovedì 30 aprile 2015

Il treno di cacca



Il treno di cacca parte all’una, all’una e un quarto, all’una e mezza, dal lunedì al lunedì, non fa fermate, non interrompe la sua corsa, non ha capo né coda, passando per l’unica stazione, l’ultima luna del mese nel cielo di aprile. L’ultimo lunedì di luna piena, dall’una all’una e mezza.
Il treno di cacca è così luminoso che non si può non vederlo. Chi non lo vede finge. Finge di essere diverso, estremamente diffidente nei confronti di chi riempie la bacheca di selfie per poter aggiornare la foto profilo e accumulare like, contrario al cattivo uso dei mezzi di comunicazione, io dico un po’ pesante, anacronistico radical chic di periferia.
Il treno di cacca è in corsa sui binari della buona sorte, quella che chiude le porte in faccia a chi ha un solo motivo per essere preoccupato. Se avete dei dubbi, prendete un altro treno, magari l’Orient Express o il pendolino! Voi che siete così sicuri di avere capito il senso della vita. Voi nostalgici di quella sinistra che non c’è più.
Il treno di cacca è la salvezza, la speranza di essere tutti uguali e non perché faremo tutti la stessa fine. Sempre a pensare alla morte, voi anarchici e poeti falliti! Ma chi l’ha detto che si muore? Perché ce l’avete tanto con la vita?
Il treno di cacca è ricco di immagini e tatuaggi e sconti alla cassa. Il treno di cacca è una barba, un paio di baffi, una maglietta scollata e pantaloni arrotolati. Il treno di cacca è un hashtag in più, un bastone per il cellulare, una donna con le labbra transgeniche, un’ancora sul braccio. Il treno di cacca sono cinquanta sfumature di marrone, dall’hypster alla diarrea. Salite tutti sui suoi splendidi vagoni letto: qui non si ragiona, si dimentica. Provate assolutamente la sua carrozza-ristorante: menù del giorno, neanche a dirlo, merda vestita d’oro!
Non c’è donna oggi che non voglia salirci a bordo, almeno per farci un giro. Io dico che una volta provato non si torna indietro. Chi non prende oggi il treno di cacca non può conoscere realmente il mondo. È come se non avesse mai viaggiato, come se non avesse visto nulla nella sua vita se non libri e scartoffie.
Sul treno di cacca non sono ammessi: clandestini, filosofi, visionari, ribelli, contestatori, anarchici e persone sposate.
Portate le vostre reflex, i vostri iphone, i vostri sandwich di luoghi comuni e irragionevoli certezze, i vostri topi da infilare nella borsa e i vostri: “questa città mi sta proprio stretta!”.
Sul treno di cacca ci si innamora di buchi da riempire, di fumo negli occhi, di aria fritta e di cervelli nouvelle cuisine. I nostri cuochi cucineranno a dovere le vostre argomentazioni più brillanti in merito alla musica elettronica che si suona nei migliori club di Berlino, Tokyo e Sydney. I nostri docenti di fuffologia vi spiegheranno una volta per tutte il significato della parola “social”.
Non abbiate paura di salire a bordo, ormai sempre più gente viaggia con noi a tariffe sempre più basse. I prezzi sono abbordabili: dieci anni della vostra vita.

In fede,

Il conducente del treno di cacca.


Lorenzo Fois

giovedì 23 aprile 2015

Mele Avvelenate




Uno se ne vorrebbe stare tranquillo, dopo tutti questi anni di sciocchezze e invenzioni leggendarie, starsene sul metaforico cucuzzolo della montagna, o quantomeno disconnettersi per un po’, rimanere offline, dal momento che siamo schiavi consapevoli delle tastiere dei nostri apparecchi tecnologici. Nessuno ancora ce lo ha detto, ma la mela che c'è sui nostri computer probabilmente è avvelenata!
Ora, non dico che bisogna barricarsi in casa o non avere vita sociale, questo mai. Anche perché a casa il massimo che puoi fare è collegarti ad Internet, accedere a Facebook, scrivere un messaggino istantaneo, ritwittare l’ennesima stronzata di Salvini o della Santanchè (per quanto anche a sinistra non si fanno mancare nulla). Al limite accendere la televisione, che certo non ha più lo stesso appeal, per vedere quanti migranti muoiono ogni giorno nelle acque italiane; per sentire Renzi, o il premier di turno (sebbene è alle porte un nuovo ventennio), bofonchiare parole in inglese per leccare il culo al Presidente degli Stati Uniti. Che poi, se posso aprire una parentesi, a me che il capo del governo non sappia parlare bene l’inglese non mi fa andare a letto con le turbe psichiche. In fondo, quanti italiani conoscono bene le lingue straniere? Io le conosco? Eppure, come tanti di voi, quante volte ho pensato: “Renzi è un coglione, potevo starci pure io al posto suo”. Ecco, al limite siamo come lui, non meglio. E lo dico con un pizzico di amara consapevolezza: da che mondo è mondo, il popolo non sarà mai migliore dei suoi governanti. Al massimo, quello che mi fa arrabbiare sul serio, è un’altra cosa: ma perché c’è bisogno di leccare il culo a qualcuno quando in Italia facciamo dei gustosissimi gelati?

Uno vorrebbe starsene sereno, ma come si fa se all’improvviso scopri che le scie degli aerei sono tentativi massonici di farci fuori tutti? Se vieni a sapere che l’Isis è stato creato dalla Germania per sterminare gli ebrei e che un giorno, non molto lontano, Carlo Lucarelli ci svelerà chi ha ucciso realmente John Lennon, J.F.K e Moana Pozzi?
Così, fra un selfie con il conducente del treno di cacca e una serie tv sui dinosauri rom che governano il cyber spazio, ho optato ancora una volta, per pochi minuti, per la clandestina e insana voglia di ribellarmi a parole. Nel senso letterario del termine, quello meno in voga, quello che non fa proseliti, quello che non ammette capi, quello buono al massimo per far credere ad una donna: “questo è proprio un ragazzo sensibile e profondo!”.
Volevo starmene tranquillo e sereno a conti fatti, ma a parole non è mai semplice. Ero seduto sotto un albero, ad un certo punto ho sentito un rumore ovattato, come un tonfo. Una mela era caduta proprio accanto a me. Quando l’ho presa in mano, mi sono subito reso conto che aveva un difetto: le mancava un pezzo. Mi ricordava qualcosa … 


Lorenzo Fois