mercoledì 25 novembre 2015

Il Terrore dell'Occidente

Mentre la polizia belga, francese, italiana, tedesca (a proposito: ma una polizia europea quando esisterà?), è sulle tracce di Salah il fuggitivo, l’uomo più veloce del mondo, l’imprendibile – quasi come l’omonimo egiziano che si aggira sulla fascia destra dell’Olimpico quando gioca la sponda di Roma giallorossa – i potenti intanto si riuniscono per una nuova partita a Risiko senza avere ancora terminato quella precedente, politici e demagoghi cavalcano l’onda spargendo sale sulle ferite e noi comuni mortali, immortali e immorali ci poniamo infine tutti la stessa domanda: ma stiamo in guerra si o no? E se si, qual è il nemico, quali gli alleati?
No perché la guerra è una cosa seria, è una di quelle cose per cui la maggior parte delle persone la smetterebbe anche di stare ore davanti allo specchio a nutrire il proprio ego di fronzoli insignificanti e leggendarie menzogne. Per cui molti, forse, rivedrebbero il senso della loro vita appagata da decenni di benessere e ignavia.
Per fare una guerra bastano pochi ingredienti, in fondo: ideologia fondata sull’individuazione di un nemico (e ci siamo), conversione della propria economia in economia di guerra, un esercito ben strutturato (e qui siamo messi maluccio, anche perché la leva non è più obbligatoria), un fronte da cui iniziare le operazioni belliche.
Ma le guerre, come tutti sanno, oggi non si combattono sul campo (gli attentati mostrano chiaramente l’essenza regionalistica e delocalizzata dei conflitti), come si faceva un tempo, quando giovani e meno giovani venivano chiamati alle armi per volontà del proprio paese. Non certo la loro.
Oggi sarebbe tutto diverso, certamente. Gli Stati nazione, le corone, i tricolori hanno un peso e un ruolo diverso nello scacchiere geopolitico contemporaneo. Armi chimiche (esisteranno davvero o rappresentano nell’immaginario la versione meno intrigante delle scie chimiche?), batteriologiche, bomba atomica, petrolio, azioni, fondi d’investimento, tassi di cambio: gli strumenti che dispensano e propagano vittime e diseguaglianze sono innumerevoli e nelle mani di realtà molto più complesse e oscure di quelli che un tempo erano i protagonisti delle battaglie e delle guerre. I confini, del resto, non esistono più da tempo. E non solo a livello geopolitico.
Basti pensare ai nostri nemici, ai cattivi: i jihadisti, ma soprattutto ai loro affiliati, i foreign fighters, tutti quelli che hanno trovato nel terrorismo di matrice islamica (anche se la religione non è il pilastro di questa contrapposizione) una sorgente di “rappresentanza” ben più luminosa di quella che il panorama politico offre oggigiorno. Almeno quelle forme lì che noi occidentali eravamo abituati a conoscere (partiti, sindacati, organizzazioni, movimenti, associazioni ecc.). Chi non è inserito nel sistema, chi non lavora ad esempio, chi non può permettersi un mutuo, una macchina, un’assistenza sanitaria: insomma, chi è rimasto “fregato” dalla democrazia liberale occidentale e dalle sue istituzioni può lasciarsi affascinare da questo modello “alternativo” e radicale. Che poi tanto alternativo non è. Il pacifismo è alternativo, il terrorismo no.
Il terrorismo rintraccia infatti la sua etimologia all’interno della Rivoluzione francese, nel periodo termidoriano di Robespierre, e non mancano successivi esempi in seno allo stesso mondo occidentale di movimenti atti ad alimentare un clima di Terrore: in Italia abbiamo conosciuto le Brigate Rosse, su tutti. Come cantava un noto e lungimirante autore del Novecento: “qui chi non terrorizza, si ammala di terrore”. Ed è il controllo di questo Terrore che alimenta il Potere e che a sua volta viene alimentato dal Potere. 
Oggi più che mai, con i potenti mezzi di comunicazione di cui disponiamo, questo è sotto gli occhi di tutti. L’Isis, come nuovo attore geopolitico nato dal modello di sviluppo occidentale: petrolio, armi e tecnologie digitali. Partendo da questo dato, qualcuno arriva perfino a sostenere che l’Isis sarebbe una creazione yankee.

Nel corso del Novecento, fino alla caduta del Muro e prima della disgregazione dell’Urss, la contrapposizione al capitalismo era rappresentata, in larga parte ma non solo, dal comunismo. Caduto questo, si è parlato di “fine della Storia”: il pensiero unico era pronto ad abbattersi, sotto il manto delle libertà, delle opportunità e della meritocrazia, su un mondo che si è scoperto improvvisamente uguale in ogni angolo del globo, anche laddove a malapena i palazzi erano stati costruiti e i campi coltivati. Culture, lingue, costumi, tradizioni sono state cancellate e abbattute (come fanno i terroristi islamici con i siti archeologici e i musei) in nome della Libertà a stelle e strisce.
La globalizzazione bambina. Quella che ti ha cambiato, decostruito e rimontato a suo piacimento. I giovani di oggi sono l’esempio lampante di questo disorientamento antropologico e culturale dell’essere umano. O almeno delle generazioni 2.0, che si trovano invischiate in un mondo (quasi) completamente digitale, espressione dell’individualismo borghese più becero, che di fatto consegna l’essere umano ad una condizione (inumana) di solitudine e mistificazione in una realtà solo apparentemente colma di diversità e opportunità.
L’Occidente e l’Isis sono le due facce della stessa medaglia, attori internazionali che si pongono “in conflitto” per mantenere un equilibrio strategico, laddove ciclicamente si vengono a creare dei vuoti di Potere (vedi l’Urss). Non ha senso tifare per nessuno, semplicemente perché non esistono i buoni e i cattivi. Esistono solo milioni di vite in serio pericolo, specialmente in quei territori che non destano in noi occidentali lo stesso effetto di ipocrita indignazione per una strage avvenuta a Parigi, o su una metropolitana londinese, o di un attentato durante il Giubileo. Ma questo, ovviamente, è l’effetto della nostra cultura borghese individualista e perbenista che fa dell’ideologia bellica il suo cavallo di battaglia, da sempre.
Il pacifismo, del resto, è un sogno che per essere tale deve essere immaginato da tutte le persone che abitano questo pianeta, potenti e comuni mortali. Ma io so benissimo, purtroppo, che questa è soltanto l’ennesima utopia in una società accecata dal denaro che non conosce altra meta se non quella della sua estinzione compiuta con la complicità del proprio iphone.

Amen


Lorenzo Fois 

sabato 14 novembre 2015

Vitello tonnato


Ve lo dico, ma solo perché non interessa a nessuno.
Ve lo racconto, che tanto nessuno crede più alle favole.
C’era una volta, o forse era una cupola, se non addirittura la cappella Sistina. Questione di circonferenze.
Correva l’anno, ma passeggiavano i mesi, per non parlare dei giorni, esausti e sfiniti, si trascinavano inermi di stazione in stazione, ora dopo ora, fino all’ultimo centesimo della notte.
La storia aveva un finale indigesto, dopo un lungo viaggio si trasformò in geografia. Cosi le persone, che diventarono improvvisamente dei selfi, e i film, che sbrodolarono in interminabili serie tv. Come se non bastasse, artisti e poeti lasciarono il posto ad hypster e dj che avevano il compito di allestire mostre fotografiche allo zenzero imbottiti di anelli parlanti e barbe fotovoltaiche. Perfino gli scienziati pazzi divennero dei modestissimi impiegati statali e i visionari si concentrarono soprattutto sulle scommesse sportive.
Facebook divenne il regno dei cieli, si parlava bene o male del bene e del male, degli hasthag di davide contro quelli di golia, di angeli che incontrano demoni su Tinder. Ognuno era facile profeta nella propria patria. Poi tornò James Bond dal favoloso mondo di Amelie, e da quel momento le cose cambiarono. Nessuno ebbe più il coraggio di ordinare una comunissima Peroni al bancone.
Cadde il Muro di Dublino, mentre in Normandia sbarcarono per la prima volta gli Alleati dei vegetariani, un plotone invincibile di soldati fatti di soia. Gli Stati Uniti avevano invaso frattanto il pianeta delle Scimmie, guidati da Luke Skywalker e dal padre del bambino col pigiama a righe. Contrastati fino allo strenuo dalle truppe imperiali di Bart Simpson, un soldato Jedi convertito all’islam, miravano infine alla conquista di Ponte Milvio e Corso Francia. Ma non sarebbe stato facile vedersela con tutti quei Suv parcheggiati in doppia fila.
Mentre i più grandi filosofi discutevano dentro alle loro tombe, da secoli, i terroristi intanto si allearono con le più potenti banche e fondi d’investimento globali. I jihadisti reclutarono nuove leve tra Oxford e la Magliana, organizzando colloqui sulla loro nuova piattaforma social. L’app del Terrore divenne in breve tempo la più scaricata tra i giovani. Le posizioni professionali più ambite furono quelle di: Robespierre, er Libanese e Ken Shiro. Diverse centinaia di attentati sconvolsero la popolazione mondiale. Qualcuno disse che in realtà dietro a questi disordini si celasse la mano invisibile della C.I.A, qualche altro che era il disegno di un complotto massonico, altri infine pensavano agli alieni. Era già partita la caccia alle streghe, ma i soldati a cavallo si ruppero la clavicola e si spararono sui piedi.
In mezzo a tutta questa confusione, rimaneva una sola certezza: il vitello tonnato.
Correva l’anno, ma passeggiavano i mesi, per non parlare dei giorni, esausti e sfiniti, si trascinavano inermi di stazione in stazione, ora dopo ora, fino all’ultimo centesimo della notte.

Lorenzo  Fois