La mattina mi
alzai di buon ora, anche se non avevo più un’ora in particolare per dovermi
svegliare. Non avevo più un lavoro, soprattutto, ma avevo trent’anni,
dopotutto, ero ancora giovane. Il mondo era pieno di opportunità, pullulava di
ragazze. Ma soprattutto di ragazze che avevano facebook: il gioco sarebbe stato
molto più facile. Senza neanche fare colazione e lavarmi, iniziai la scalata al
mondo della socialità virtuale. Primo passo: registrazione dei dati. Nome,
cognome, data di nascita, indirizzo email. Tutto ciò che avevo accumulato sin
dalla nascita era ora a disposizione della Rete, come una bacheca dietro alla
quale esporre trofei. Se prima ero critico nei confronti di questo sistema,
adesso non ero più interessato a sapere chi o cosa ci fosse dietro questa
presunta Rete. In fondo, come nello sport, contava solo il risultato. Secondo
passo: creare il proprio profilo. E qui, dovetti riconoscere, la situazione si
mostrava più complicata di quanto pensassi. Sebbene la superficialità avesse
ormai intaccato come un cancro il mio sistema psicofisico, trasformando la mia
volontà in qualcosa di estremamente labile e confuso, non avevo abbastanza
dimestichezza con le parole d’ordine della sua essenza. Senza contare che in
quel periodo ero totalmente all’oscuro circa il significato di espressioni come
“farsi un selfi”, “whatsappare”, “likare”, “farsi taggare in una foto”,
“commentare un post”, “twittare”, che erano un po’ il minimo comune denominatore
della vita 2.0. Per correre ai ripari, prima di procurare danni eventualmente
irreparabili, dovevo assolutamente cercare su Google (“googlare”) una sorta di
manuale per il buon uso del social network. Era indispensabile quanto una chela
di granchio nel deserto: non potevo proprio farne a meno. Navigando e scorrendo
tra i vari siti, blog, indirizzi e link la mia attenzione si era fissata su di
uno che forniva alcuni sottili consigli per neofiti del social. Secondo le tesi
degli autori, questi consigli avrebbero inserito rapidamente il soggetto in una
posizione di predominio assoluto nella logica di business (economico,
relazionale, antropologico e culturale) che è propria del social network. Di
facebook. Iniziai con grande interesse a leggerne il contenuto. I consigli erano
molto ampi, abbracciavano tutta la vita sociale all’interno del grande libro
della falsa amicizia, tutta la gamma delle azioni possibili ed anche di quelle
meno consigliabili. Ovviamente, tenevano a specificare gli autori del blog, non
tutti arrivavano allo stesso risultato. Anche se propedeutico, il passato e
l’intelligenza del soggetto rappresentavano un ostacolo o un spinta nella
corretta gestione del profilo. Da quello che ero riuscito a carpire dalla
lettura meticolosa di quelle poche righe, io mi potevo ritrovare tutto sommato
in una posizione vantaggiosa, considerando il mio ricco passato sociale,
l’attuale condizione di single che agevolava ogni tipo di relazione su Fb, la
voglia di rivalsa sulle recenti disavventure che la vita mi aveva preservato.
Dovevo costruire però la mia immagine: servivano dei ritocchi. Servivano delle
bugie e delle forzature.
Procedetti in
quest’ordine: se l’immagine e l’apparenza erano le fondamenta di questa nuova
vita, io dovevo assolutamente mettermi in pari per quello che riguardava il
look. Il primo passo non poteva che muovere dall’abbandono del mio "vecchio" stile per passare a quello maggiormente in voga nei circoli
musicali, ma soprattutto quello che piaceva più alle ragazze ai tempi di
facebook: l’hypster-mania poteva considerarsi la prima forma di rifiuto della
mia personalità per approdare ad una spersonalizzazione dell’identità che mi avrebbe
consentito di apparire più sicuro, carino ed interessante agli occhi delle mie
future amicizie. Così andai in qualche centro commerciale, selezionando i capi
d’abbigliamento secondo le direttive impressemi dai miei primi mentori dopo i
vari Bukowski, John Lennon, Fabrizio de Andrè, Che Guevara. Jeans stretti, talmente stretti da minacciare
la virilità del mio più antico gingillo, possibilmente neri, dovevano cadere
con scrupolosa cura sopra degli stivaletti di pelle, anch’essa nera. Magliette
larghe, lunghe e scollate: se i peli fossero debordati come l’acqua dalla
pentola sarebbe convenuto, a detta dei miei tutor elettronici, procedere alla
depilazione. Una mantellina, sempre di colore nero, avrebbe dato eventualmente
un tocco in più. Per completare il gioco mancavano tuttavia minuziosi quanto
fondamentali accessori. Per primo, bisognava appesantire le proprie dita di
metalli a forma di anello, come quelli che indossavano le ragazze. Secondo poi,
sapienti tatuaggi avrebbero decorato braccia, gambe e schiena, donando
finalmente un po’ di colore e facendo breccia all’interno di quel look "total
black". Un taglio di capelli, rigorosamente più corto ai lati e più lungo nella
parte superiore, avrebbe completato definitivamente il mio passaggio all’altra
sponda identitaria. Ancora meglio, scrivevano gli autori del blog, se il soggetto
interessato avesse disposto in natura di capelli ricci o mossi: il contrasto
sarebbe stato più cool. Io ero stato dotato da Madre Natura di fluttuanti onde
castane. Qualcosa mi faceva pensare che sarei presto diventato qualcuno! Il
profilo migliore …
Adesso tutto
era pronto ed organizzato per far debuttare la mia nuova identità in Rete:
dovevo giusto scattarmi qualche foto, un selfi andava più che bene, e il gioco
era fatto. Ultimo passo: aggiungere le amicizie e restare ad aspettare. Due,
tre, cinque, dieci minuti di impasse più totale precedettero un exploit inaspettato.
Fra l’incredulità dei partecipanti al libro delle facce e i commenti più disparati
su questa mia trasformazione, ricevetti in un solo giorno 300 richieste di
amicizia, due terzi delle quali provenivano da donne.
Il sogno di
un trentenne cui la vita reale aveva tolto certezze e inflitto batoste e
legnate in modo forse eccessivo era sul punto di realizzarsi grazie all’uso
sapiente e lungimirante del social network. Ora Marco Occhiolungo poteva
vantarsi di possedere più di 3.500 amici virtuali, di essere stato taggato in
2.340.000 foto, di essere stato immortalato in più di 20.000 selfie e di
essersi fidanzato con 365 donne nello stesso anno. Era uno degli hypster più in
voga sulla rete, pur non facendo nulla dalla mattina alla sera. Usciva soltanto
la notte per esibire i suoi anelli, i suoi tatuaggi e i suoi vestiti che
facevano tendenza. La sua vita era cambiata, per sempre, e non ci sarebbe stato
verso di tornare indietro.