martedì 4 luglio 2017

Si parla di politici ma non di politica

Si può senz’altro discutere di politica. Anzi, sarebbe opportuno farlo. Si può riflettere sul destino della Sinistra, che sembra vivere da vent’anni una specie di crisi adolescenziale che colpisce la grande maggioranza delle ragazzine di 13 anni. Si può raccontare di come la Destra stia tornando in auge grazie alla deriva razzista dell’Occidente e di quanto il Movimento 5 stelle stia pagando caro il prezzo dell’inesperienza e della presunzione, tipica dei neofiti, una volta arrivato ai vertici del potere. Si può parlare di tutto questo e lanciarsi in dettagliate proiezioni sul futuro prossimo che incombe sul paese a qualche mese dalle elezioni.
Si può, come ho già detto, fare tutto ciò continuando così ad evitare di soffermarsi sui reali problemi che affliggono le democrazie, intese non solo come sistemi politici ma anche e soprattutto come tessuto di coesione sociale.
E chi, più dei giovani, rappresenta il filo con cui viene ordito questo tessuto?

La depoliticizzazione degli under 30 (e spesso anche 40) è sotto gli occhi di tutti. I partiti e i valori che questi ultimi hanno, nel bene e nel male, veicolato per oltre mezzo secolo di “esperienza” democratica non hanno più un briciolo di appeal nelle nuove generazioni. E lo stesso vale per la musica del passato, la letteratura, il cinema.  
Il progresso tecnologico, unito al disarmante pressapochismo ideologico e culturale ereditato dal ventennio berlusconiano, ha spinto quelli che vengono definiti i “millennials” in un buco nero identitario. La stragrande maggioranza di essi si dichiara né di destra né di sinistra, ritiene la classe politica sostanzialmente tutta corrotta e – a ragione – distante anni luce dalla società che essa rappresenta. Inoltre, nessuno più ha passione politica e interesse per la cosa pubblica, quasi vivesse su un altro pianeta. Sempre meno persone si iscrivono a facoltà umanistiche (“perché la cultura non da da mangiare”) e sempre di più hanno come unico metro nella scelta di un percorso di studi quello di “trovare più facilmente un lavoro”.
La maggior parte dei giovani sotto i trent’anni, a domanda precisa, risponde di non voler lavorare “sotto padrone” e magari prova a lanciare un App. Lavorare sotto padrone, tuttavia, è il genere di lavoro più diffuso sul pianeta e che ingloba, quasi sempre, anche il fatto di dover lavorare in un team, imparando così a relazionarsi con persone differenti, gestendo lo stress e le complicazioni legate al fatto di avere a che fare con qualcuno diverso da sé. Individualismo, individualismo cannibale.
Il reale problema dei sistemi politici e sociali, perciò, è unicamente quello dei giovani e di tutte quelle altre tematiche legate all’insofferenza e al cambiamento di aspettative di questa categoria sociale (vedi il crollo demografico, la fatica a distaccarsi dal nucleo familiare, l’individualismo presente anche nelle relazioni affettive, la depressione ecc.).
Il lavoro è dunque solo una piccola componente di questo problema poiché, molto spesso, sono proprio i giovani a non aver voglia di faticare, schiavi di un benessere che li ha coccolati dalla culla fino alla tesi di laurea.
Il problema dei giovani è un problema politico più che economico, in generale. Perché se è vero che i giovani difficilmente potranno replicare i “successi” dei propri genitori – escludendo i figli di papà per i quali è sempre tutto più semplice e immediato – è altrettanto vero che quasi nessuno oggi ha più voglia di “essere come suo padre o sua madre”. Odiamo i partiti politici espressione della Prima Repubblica, immaginario di corruzione e clientelismo, ma se oggi conduciamo un certo stile di vita il merito, o la colpa, è di quel sistema lì che ci ha permesso di andare all’università invece che in officina. Prendersela con i partiti politici è come prendersela con i nostri genitori, che godono di una pensione mentre noi forse non potremo. Pensione con cui, è bene ricordarlo, gli anziani pagano il nostro affitto o il nostro mutuo.

Mentre parliamo e scagliamo le nostre invettive contro di loro, noi lo facciamo sempre da una posizione privilegiata, quella di chi è nato nel benessere. Sfortunatamente questa è stata anche la nostra condanna e la causa della nostra attuale sofferenza.

Lorenzo Fois