Se le riforme
hanno come intento quello di riorganizzare ciò che sarebbe dovuto essere stato
pianificato dalla politica almeno venti anni fa, allora i risultati di queste
agognate riforme si vedranno non prima dei prossimi vent’anni. Già, perché
questo è il ritardo medio accumulato dall’Italia rispetto ai paesi più
avanzati. Qualcuno – come sappiamo – sostiene che la colpa sia attribuibile
alla politica berlusconiana, rea di aver perso tempo appresso alle vicende
personali dell’ex premier. Qualche altro, al contrario, ritiene che la
responsabilità debba ricadere invece su una certa parte della politica e della
società che ha ostacolato Berlusconi nel suo progetto di riforme, sin dalla sua
ascesa politica. Infine, c’è chi sostiene (e mi sembra la tesi più accreditata)
che Renzi sia il Berlusconi 2.0, il quale tuttavia gode di un consenso maggiore
di quest’ultimo per via della sua apparente lontananza da certe pregiudiziali
morali e politiche (iniziali favoreggiamenti quando l’anchorman vestiva i panni
dell’imprenditore rampante; vicinanza del politico brianzolo ad ambienti
mafiosi; continui scandali sessuali del “settantenne Silvio” a metà tra il
burlesque e il reato penale).
Bene, se diamo
per buona l’ultima, Matteo Renzi vestirà i panni, più che del “rottamatore”,
del primo vero riformatore dell’Italia repubblicana (seppur sotto l’attenta
vigilanza della Corte costituzionale). Ciò che per il momento rimane un
intento, un’etichetta scomoda da portare in un paese dominato dal clientelismo
e dal parassitismo.
Fatto sta che
nel mare magnum delle perplessità, delle speranze e delle ambiguità, c’è un unico
dato certo e incontrovertibile: l’Italia è un paese immobile, paralizzato dalla
burocrazia, dalla lentezza dei tempi della giustizia e dalla pesantezza del
gettito fiscale. Il riformismo deve scontrarsi con questi ostacoli che sembrano
insormontabili, oltre che con gli aspetti economici congiunturali
(disoccupazione, recessione, vincoli esterni). Come se non bastasse, l’Europa
sembra al momento rappresentare un freno più che un salvagente per un paese che
deve tirarsi fuori dalla burrasca. Insomma, la nave comandata da Matteo Renzi
ancora deve intravedere un porto sicuro. Le idee sembrano esserci, le risorse e
il tempo scarseggiano.
Pensiamo alla
riforma della scuola, la più importante e sempre al centro di accesi dibattiti,
sia perché non c’è mai stata una vera e propria “visione” della scuola nelle
menti sofisticate che si sono alternate negli alti piani ministeriali, sia
perché questo è il paese dove si staglia come una roccaforte l’altisonante
grido de: “è tutta colpa dei professori”. È colpa dei professori se mia figlia
è stata bocciata, se non si è mai interessata a niente, se non ha mai studiato,
se non entrava a scuola la mattina. Diciamo che lo scarica barile è lo sport di
migliaia di madri di fronte al fallimento educativo, e il rimpiattino diventa lo
specchio davanti al quale si cerca di scaricare le proprie responsabilità per
vivere più sereni (sereni di cosa?). Se le madri italiane aprissero una partita
Iva andrebbero fallite immediatamente, tali sarebbero le loro colpe da pagare
sotto la voce di imposte. Ecco, se c’è un ritardo in Italia, questo va
rintracciato innanzitutto nella mentalità di migliaia di madri e di padri che
proteggono i loro figli come dei ricercati col solo risultato di farli vivere,
depressi e annoiati, perennemente sotto una campana di vetro!
Dicevo della
riforma della scuola: tra le tante proposte (vedremo quante di queste
diventeranno legge) spiccano senz’altro quella dell’insegnamento di alcune
materie in inglese già nella scuola primaria e l’accelerazione sotto il
versante dell’informatica e della tecnologia sempre per quanto riguarda
l’insegnamento primario. Se pensiamo infatti che questo è il paese che ha
portato alla luce invenzioni come la radio, il telefono e il radar è quanto mai
sorprendente il fatto di come per moltissimi giovani l’uso di Excel e Power
Point, per non parlare della conoscenza delle lingue straniere, rappresenti una
meta tanto sconosciuta quanto quella delle possibili forme di vita alternative
presenti nello spazio.
Non è il caso
di interrogarsi sui colpevoli, sui mandanti delle stragi di intelletti che si
sono consumate per intere decadi e che hanno colpito intere generazioni. Io
continuo a pensare che se la politica fallisce, la colpa è della società.
L’Italia è
arretrata, è disorganizzata, è poco attraente (finanziariamente parlando). Come
qualcuno ha già scritto, “l’Italia è un paese per vecchi”. Con buona pace di
Matteo Renzi, che ce l’ha messa tutta per “rottamare” l’usato di facciata
mentre i vecchi capi tribù (presidenti, vice-presidenti, direttori generali,
consigli d’amministrazione) sono rimasti sempre lì a spingere per la
conservazione. Il potere invisibile, come sempre, è quello più difficile da
contrastare. Meglio prendersela con i più deboli, allora, altro sport praticato
dalla maggioranza delle persone ...
L’Italia è il
classico esempio delle occasioni sprecate, del vorrei ma non posso, del peccato
che vadano così le cose, peccato che le cose non cambino mai. L’Italia è
l’unico paese al mondo dove i genitori si sentono ripetere in continuazione
dagli insegnanti: “Se solo suo figlio studiasse … è cosi intelligente, peccato
che si applica poco”.
Ecco, è ora
di finirla con questi cliché. La riforma della scuola (in tutte le sue
componenti) e l’innovazione dei metodi d’istruzione è il primo traguardo da
raggiungere se si vuole far uscire questo paese dalle sabbie mobili. Dopo viene
tutto il resto, altrimenti si rischia di fare la fine delle strade disastrate:
prima o poi si aprirà una voragine che ci inghiottirà tutti dentro.
Se si vuole davvero investire sui giovani, come si sente ripetere spesso negli ultimi tempi, a dire
il vero più come slogan che come una serie di iniziative concrete volte a
ridurre il numero dei disoccupati, il
governo cominci a farlo partendo dai luoghi in cui questi iniziano a costruire
il loro futuro. Anche se dovremo aspettare vent’anni per raccoglierne i frutti
e molti giovani saranno ormai vecchi rottami. Mi sembra la soluzione più alla
portata di mano o, volendo, l’ultima spiaggia.
Lorenzo Fois