lunedì 31 marzo 2014

Il dado è tratto



Obama è stato a Roma. Ha visitato la città, i suoi monumenti: il Vaticano, il Colosseo, i palazzi del governo. È rimasto impressionato dalla loro grandezza. Al cospetto, ci fa sapere, uno stadio di baseball è un minuscolo pezzo di prosciutto incastrato fra i denti. Roma è una città meravigliosa, del resto, passata alla storia per i suoi antichi fasti. Roma è anche una città eterna, passata però alle cronache moderne per le sue disfunzioni in materia di mobilità stradale. Data la condizione di eternità risulta peraltro evidente quanto sia più corretto e generoso parlare di immobilità (stradale, professionale, ambientale, tecnologica). Due sole linee della metropolitana, autobus fatiscenti e in perenne ritardo, conducenti prelevati dalle patrie galere, traffico in tilt a qualsiasi ora del giorno, smog e inquinamento a livelli apocalittici rendono infatti caotica e sempre più invivibile questa città. Eppure Roma è sempre bella, conserva il suo status quo come poche altre al mondo, e i romani continuano a resistere come famigerati mangiatori di spaghetti. I papi cambieno ma la Chiesa è sempre al suo posto. Magari non sarà più al centro del villaggio, ma il villaggio oggi è un spazio fluido, lo spazio dei flussi. Non bisogna preoccuparsi per Roma, perché Roma è sempre al suo posto. I turisti ancora si accalcano per vedere il Colosseo, anche se sono in corso le opere per la sua pulizia (forse si dovrebbero ripulire anche le strade, sussurra qualche abitante). Ed ecco che in un simile contesto – la città non è famosa per la sua laboriosità, per il suo impegno civico e per le sue prospettive future – il presidente degli Stati Uniti che ci viene a fare visita, un evento storico, non è nient’altro che uno di quei milioni di turisti che vengono a vedere le nostre rovine, passate e presenti, con la sola differenza che per farlo utilizza mezzi di trasporto privati (aerei, elicotteri e limousine). Ai romani non è importato granché della presenza di Obama, il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti, perché questo fatto ha provocato rallentamenti al traffico ancora maggiori di quelli che già normalmente la città vive. I romani non hanno più fiducia negli amministratori locali e nei politici nazionali, figurarsi cosa importa loro di quelli esteri. E del resto a nessuno altrove importa delle sorti dei romani. Questi ultimi hanno dunque sviluppato un insano egoismo che li porta ad interessarsi solo delle loro faccende personali. Come ad esempio la presentazione, avvenuta quasi in concomitanza con l’arrivo di Obama, del nuovo stadio della Roma, il quale ha riscosso maggiori entusiasmi ed interessi di quanto abbia fatto uno dei personaggi più potenti del pianeta. Qualcuno dice che non si tratta di un caso se la nuova proprietà del club sia targata Boston, USA. Qualcuno che pensa che gli americani ci hanno messo gli occhi addosso, così come avrebbero fatto i cinesi o gli arabi. 
Beh, questa è la globalizzazione, anche gli spaghetti vengono esportati nel resto del mondo. Ai romani non importa sapere chi sarà il costruttore. A loro interessa soltanto la riuscita dell’edificio, un bellissimo impianto all’avanguardia. Proprio come quelli dove gli americani vanno a ingozzarsi di patatine, hot-dog e birra.

Chissà quale sarà il destino di noi romani americanizzati! Questo non è dato saperlo. Chissà se continueremo a mangiare spaghetti oppure ci faremo contagiare da tutte quelle varietà di sandwich e salse da spalmare. Magari quando andremo a visitare il nuovo stadio – qualcuno abitualmente ogni due domeniche, quelle delle partite in casa della propria squadra (la cui proprietà è tuttavia altrove: vedi globalizzazione) – diremo: “Ammazza che bello, assomiglia proprio al Colosseo. Forse è un po’ più piccolo, meno grandioso”. Come un pezzo di prosciutto incastrato fra i denti, Mr. President.
Ad ogni modo, come disse uno dei nostri più gloriosi avi nel 49 a.C., attraversando il Rubicone: “alea iacta est”. Il dado è ormai tratto. 

martedì 25 marzo 2014

Un ambizioso progetto


C’è bisogno di occupazione, di lavoro, di impiego, di produzione, di denaro per le famiglie, di sgravi fiscali per le imprese. Occorre far ripartire il volano dell’economia, rilanciare i consumi, essere competitivi, esportare il made in Italy (possibilmente lasciando a casa la Mafia s.p.a). Non dobbiamo piegarci ai diktat della Merkel, non dobbiamo lasciarci intimorire dai sorrisi di Barroso e Don Rodrigo. L’Italia non può perdere terreno nei confronti degli altri paesi. Occorre ridisegnare il welfare, tagliare le province, abolire il Senato, ridurre il numero dei parlamentari ad uno. La riforma dell’ingiustizia, della pubblica amminchiazione e perché no, anche del campionato di serie A. In questo senso è al varo da parte del governo la stesura di una norma che preveda il reato di appartenenza al tifo juventino. 
Dobbiamo puntare sui giovani, su di voi, perché siete il futuro che avanza a colpi di twitter e facebook … Neanche Cirano aveva osato tanto, permettetemi questa metafora letteraria, ma quelli erano altri tempi!
C’è bisogno di maggior dialogo con la gente, di minor sperpero di denaro pubblico. La gente è stanca di vedere i politici che rubano. Noi diciamo che basta spegnere la televisione per risolvere il problema ...
 I cittadini non sopportano l’idea di essere sempre più poveri. Occorre dare loro una speranza, una prospettiva o anche semplicemente un’illusione. Un’utopia. Bisogna parlare loro di crescita. Il Pil deve tornare a salire, il debito deve iniziare a scendere. Solo così si può ripartire. Solo con le illusioni.
Questo è un progetto ambizioso, gentili clienti, ma noi ce la faremo. Bisogna credere nelle nostre forze, nelle nostre capacità, nelle nostre virtù per uscire fuori da questa situazione. Bisogna rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani, levarsi la camicia. Stare seduti composti a tavola, non parlare con la bocca piena, lavarsi i denti prima di addormentarsi. Ma anche non farla fuori dal vaso e cercare di essere regolari in certe faccende domestiche. Ci vuole un po’ più di pelo sullo stomaco e un po’ meno cerette sul petto. E se non ci sono più gli uomini di una volta, si tenti con le donne di domani! Le quote rosa sono quelle relative alle scommesse sulle partite del campionato di calcio femminile. Ti piace vincere facile? Beh, sappi che se non giochi non vinci, e come disse un noto compatriota lo scorso secolo: chi non risica non rosica.
Bisogna crederci insomma, ce la faremo … E se non ce la faremo, ce ne faremo una ragione. Purché qualcuno abbia ragione. L'importante è avere ragione. Ed io, cari ragazzi, ho sempre ragione!

Questo che vi abbiamo appena riportato è uno stralcio dell'intervento che il premier ha fatto alla presenza di alcuni meritevoli studenti fuori corso della scuola media “la Leopolda” di Firenze, partecipando alla giornata nazionale delle buone idee. 

mercoledì 19 marzo 2014

E' nato prima l'uomo o la gallina?


Putin non molla. Obama non molla. La Merkel non molla. È tutto un tira e molla e noi fra incudine e martello scegliamo la prima posizione. Quella dell’austerità, del pareggio di bilancio, del piatto che piange e della capra che crepa (sotto la panca). Siamo costretti, abbiamo la pistola puntata alla tempia, non possiamo rifiutarci. Il nostro è un obbligo morale, verso i nostri figli e i nostri nipoti. Dobbiamo lasciare loro in eredità uno Stato in pareggio, né prono né chino ma immobile, come le statue che riempiono le piazze e i palazzi delle nostre città. Decrepito, come il muro della domus di Pompei. Saranno le nuove generazioni a inventarsi qualcosa. Più facile che lo facciano quindi partendo dalle macerie …
Quello che raccogliamo oggi è ciò che abbiamo seminato ieri, dice un vecchio adagio. Ed ecco perché raccogliamo da terra solo le briciole. Quello che seminiamo oggi è ciò che raccoglieremo domani. Ed ecco spiegato il luogo comune che vuole che la cultura non riempia gli stomaci ma solamente i cuori. E i nostri cuori sono deserti, fanno parte di un corpo inumano, particolarmente attento a non sporcarsi le mani per non lasciare impronte digitali. La società promuove chi meriterebbe di essere bocciato e viceversa: su queste basi si sta creando lo sviluppo, il progresso. E allora una domanda sorge spontanea: è nato prima l’uomo o la gallina?

martedì 11 marzo 2014

Non ci resta che piangere


Ultim’ora, ultimatum, ultima chance, ultima spiaggia, ultimissime da bordo campo: quante immagini per descrivere lo stato confusionale in cui riversa il nostro malato cronico. Degente, deambulante, eppure sempre al centro delle attenzioni. Prima pagina: rischio default, spread alle stelle, disoccupazione a livelli record. Questa è la crisi, d'altronde c’è la crisi, la crisi del debito, la crisi dell’euro. Che bella parola: la crisi. Per noi che ci siamo abituati, è quasi confortante. Ci ricorda che abbiamo preso degli impegni, che dobbiamo fare i compiti a casa, che forse, alla fine, quando suonerà la campanella, gli sforzi che avremo fatto non saranno serviti a nulla! Cosa siamo noialtri del resto? Mangiatori di pasta, bevitori di vino, amanti della cultura e della bellezza: qualcuno mi spieghi il significato del termine job act! Ho capito, rispondiamo al fuoco nemico con le pallottole che raccogliamo da terra.. Speriamo allora di non farci troppo male scherzando col fuoco. Io speriamo che me la cavo ma intanto speriamo in Dio e che qualcuno ci aiuti. 
Fondi strutturali, fondi dell’Unione europea, fondi per la ricostruzione, Fondi è uno dei mercati di frutta più esposto alle infiltrazioni camorristiche.. Curioso no?
Quanti giri di parole per non dire nulla, quanti raggiri, quanti soprusi, quante batoste, quante legnate. I tagli, i tagli lineari, i tagli alla spesa pubblica, le taglie forti, i taglia e cuci, i tagli e ritagli, i paglia e fieno, i corsi e ricorsi: ci siamo inventati tutto noialtri. E ora che si fa? Siamo a corto di idee, ai ferri corti, al cortocircuito, accorciamo le distanze. Eh già, tutto il mondo è paese, siamo cittadini globali, abitanti della Terra. Ecco perché i cervelli fuggono, ecco perché l’erba del vicino è sempre più verde. La mobilità è un valore. Il dinamismo pure. Per tutto il resto c’è il resto, gli spicci, le briciole, gli avanzi. Per tutto il resto non ci resta che piangere.