venerdì 4 aprile 2014

L'ostage


Ci sono parole che possono essere fraintese. Tipo bontà. Altre che possono avere un doppio significato. Ad esempio il verbo battere. Altre che di per sé non significano nulla, come assolutamente. Altre ancora che possono avere un diverso significato, come il sostantivo femminile cozza. Per tutto il resto c’è sempre una parola buona e una cattiva da dispensare. Ma c’è una sola parola il cui significato è totalmente oscuro, promiscuo e ingannevole e questa è ostage. Con questo termine ci si riferisce a quella miriade di situazioni condizionanti il mondo del lavoro contemporaneo. Solitamente riguarda i giovani compresi tra i 24 e i 33 anni. Quelli che hanno studiato, che si sono fatti una cultura, che hanno imparato la fregatura di una tale istruzione e che stanno cercando disperatamente un lavoro. Un lavoro che manca, un lavoro che è acqua nel deserto, un lavoro che è feroce competizione per un ruolo da schiavo nella catena del niente. Paolo, 32 anni, laurea in scienze politiche, master in politiche pubbliche, vive ancora con i suoi genitori, è al suo dodicesimo ostage in altrettante aziende.
Chi di voi non ha mai sentito parlare di ostage? Chi di voi non è caduto nella sua morsa? Chi non darebbe una mano pur di essere un'ostagista per caso? Essere chiamati per un ostage non retribuito, a conti fatti, può essere spesso vista come la sola possibilità per farsi breccia all’interno dell’azienda, sperando di poter mettere in mostra le proprie capacità e magari, un giorno, di essere assunti nell'organigramma aziendale. Magari, ti dicono, quando la crisi finirà.
E così scopri lentamente che quel giorno non arriva, la crisi non sembra volgere al termine, e tutto al più in molti sperano di poter essere confermati quantomeno come ostagisti. Imparare il lavoro e non vedere un soldo bucato per i propri servigi, di qui alla pensione che non arriverà mai. Anch’essa.
Il padre di Paolo in fondo aveva sempre insistito col figlio, sin da piccolo, quando a casa si cimentava nella riparazione di qualunque cosa: “impara da me figliolo, che un giorno ti tornerà utile”. Ma niente, Paolo giocava col game boy. Ah, quanto rimpiange ora il fatto di non aver imparato un mestiere! Ora avrebbe potuto arricchirsi come idraulico, muratore, elettricista, aiutato quel tanto che basta da un pizzico di evasione fiscale garantita dallo Stato… Paolo si rammarica ancora di più quando vede e sente che per quei lavori vengono ingaggiati soltanto gli stranieri. Su tutti: romeni, lituani, polacchi, magrebini. Chissà cos’hanno più di lui, si domanda? Qualcuno gli ha suggerito che molto dipende dalla mancanza di voglia di molti suoi coetanei e connazionali di sporcarsi le mani, di fare lavori umili. E così un giorno Paolo ha smesso di lavarsele. Ha letto inoltre da qualche parte, ma non ricorda dove, che questa straziante situazione è imputabile anche alla mentalità piccolo borghese della generazione di italiani nata dal secondo dopoguerra in poi. Tutti che volevano un figlio dottore, dopo il benessere si sono trovati a fare i conti con figli depressi e disoccupati … La colpa non è soltanto sua, così, continua a ripetersi guardando le mani che giorno dopo giorno si anneriscono sempre di più.
Ma Paolo non demorde. Paolo ha un carattere forte. Continua a dimenarsi e a districarsi da un ostage a un altro. Ostaggio del suo stesso ostage, ostagista dimenticato e appasionato. In cerca di un altro ostage, di un ostage migliore. In questo mondo c’è sempre un ostage migliore. Ma anche uno peggiore. E questo Paolo lo sa, sa che in tutto questo centra anche la fortuna. La solita maledetta botta di culo. Il solito disperato calcio nel culo …

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