domenica 27 aprile 2014

Il profilo migliore (parte prima)



L’altra sera, rientrato a casa, piangevo per la disperazione: avevo perso il lavoro, la mia ragazza mi aveva snobbato ancora prima di tradirmi e anche il cane, una volta sempre pronto a farmi le feste, sembrava dicesse dentro di sé: “eccolo, è tornato, è sempre lui!”. Tutto questo mi faceva sentire un fallito. A conti fatti, lo ero. Amore, denaro, salute: l’oroscopo segnava un clamoroso zero sopra ogni casella. Così ho provato a chiamare un’amica, per prima, poi un’altra e un’altra ancora. Non rispondeva mai nessuno, però. Sembrava non esserci proprio nessuno dall’altra parte del filo ed ero già abbastanza solo, da solo. Ho tentato dunque miglior fortuna provando col sesso maschile. Metabolizzata la delusione legata alla possibile presenza consolatoria di una compagnia femminile (un paio di tette mettono sempre il buon umore), mi sarei accontentato anche di qualche pinta di doppio malto da scolare di fronte ad un paio di baffi ed una sfumatura di carpe old school sull’avambraccio. Ho iniziato così a spedire messaggi a non finire, spesso più d’uno allo stesso contatto, fino a farmi prendere dall’artrite. Fui costretto a fermarmi qualche minuto. Ma non avevo intenzione di arrendermi: volevo parlare, avevo bisogno di sfogarmi, di ubriacarmi. Avevo solo bisogno di un amico, ma non trovavo nessuno. Zero amicizie, tutto d’un colpo. Ero invisibile, bloccato, dimenticato, cancellato. Semplicemente non interessavo a nessuno. Unlike me.
Mentre tentavo di recuperare le forze in compagnia della dama bianca, dopo lo sforzo eccessivo che avevano compiuto le falangi e falangette varie, non sapevo cosa fare, cosa altro tentare. Avevo pensato perfino al suicidio ma poi lo avevo scartato immediatamente: anche per quel genere di cose ci vuole coraggio. A meno che non ti fai una pera e chissà, quel che succederà dopo lo sa solo Dio, ammesso che a lui interessi saperlo. Io però non lo sapevo, non lo avevo mai saputo, e non lo avrei mai provato. Dovevo sbrigarmi tuttavia a cambiare volto: il mio nuovo profilo doveva palesarsi al resto del mondo, prima che non ne avessi più avuto la possibilità.
Ero ancora vivo, dunque, anche se a stento mi trascinavo da una parte all’altra della casa, raggiunto così di soppiatto dall’alito soporifero della depressione. In realtà, pochi metri quadrati erano diventati una maratona infinita. Quale era il traguardo? Quale la decisione finale? Mi sedetti in cucina, il posto della casa dove meglio funzionava il wireless, con gli occhi diretti allo schermo del pc e lo sguardo che tuttavia riusciva perfettamente ad oltrepassarlo. Dopo lunghi minuti di ricerche e navigazione non avevo scovato altro che documenti senza senso: la tesi di laurea di molti anni prima salvata in pdf e poi tantissime foto di me e della mia ex ragazza, dei miei ex amici, del mio ex cane, della mia ex vita. Nulla aveva più senso. Niente era più come prima. Decisi perciò di aprire un sito porno, uno a caso, avendo scelto per quel momento la via della masturbazione. La mano fu più rapida nell’esecuzione che nella scelta oculata del materiale audiovisivo e così dopo mezzo minuto corsi in bagno a levarmi di dosso il seme del mio fallimento.
Mi sentivo leggermente meglio, grazie all’effetto del piacere-lampo, e per questo avevo deciso di addormentarmi. L’indomani sarebbe iniziata una nuova vita, senza più lavoro, senza una relazione stabile, solo un vecchio cane ingrato che mi guardava, pur sempre dal basso, ma con aria di superiorità. Serviva un cambiamento profondo, ed eccolo che arrivò. Mi erano venute in mente le parole dei miei amici, quelli che allora credevo fossero tali, tatuaggi-barba-rasatura ai lati, quando mi dicevano: “sei fuori dal mondo! Non hai facebook, non hai whatsapp e nemmeno twitter. Ma dove credi di vivere? Il tempo dei rivoluzionari è finito da un pezzo”. Io rispondevo alla sfida, tronfio di sapere, che non si trattava di rivoluzione ma semplicemente di buon senso, di disgusto per il disgusto, di amore per la privacy e per le buone maniere. Io – sostenevo a quel tempo – ero palesemente nel giusto e loro, abitanti di un mondo virtuale, erano dei poveri disgraziati, vittime dell’insicurezza generazionale e della moda passeggera. Chi dei due sbagliava? Beh, evidentemente ero io in errore. Io che peccavo di presunzione, che mi davo delle arie, che non guardavo al concreto, a come girava il mondo. “L’amicizia non è una valore, è un opportunità”, mi dicevano questi profeti del piacerismo.
Era dunque arrivato il momento di guardare in faccia la realtà. Era giunto il momento di crearmi un profilo su Facebook …  

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