L’altra sera,
rientrato a casa, piangevo per la disperazione: avevo perso il lavoro, la mia
ragazza mi aveva snobbato ancora prima di tradirmi e anche il cane, una volta
sempre pronto a farmi le feste, sembrava dicesse dentro di sé: “eccolo, è
tornato, è sempre lui!”. Tutto questo mi faceva sentire un fallito. A conti
fatti, lo ero. Amore, denaro, salute: l’oroscopo segnava un clamoroso zero
sopra ogni casella. Così ho provato a chiamare un’amica, per prima, poi
un’altra e un’altra ancora. Non rispondeva mai nessuno, però. Sembrava non
esserci proprio nessuno dall’altra parte del filo ed ero già abbastanza solo,
da solo. Ho tentato dunque miglior fortuna provando col sesso maschile. Metabolizzata
la delusione legata alla possibile presenza consolatoria di una compagnia
femminile (un paio di tette mettono sempre il buon umore), mi sarei
accontentato anche di qualche pinta di doppio malto da scolare di fronte ad un
paio di baffi ed una sfumatura di carpe old school sull’avambraccio. Ho
iniziato così a spedire messaggi a non finire, spesso più d’uno allo stesso
contatto, fino a farmi prendere dall’artrite. Fui costretto a fermarmi qualche
minuto. Ma non avevo intenzione di arrendermi: volevo parlare, avevo bisogno di
sfogarmi, di ubriacarmi. Avevo solo bisogno di un amico, ma non trovavo
nessuno. Zero amicizie, tutto d’un colpo. Ero invisibile, bloccato,
dimenticato, cancellato. Semplicemente non interessavo a nessuno. Unlike me.
Mentre
tentavo di recuperare le forze in compagnia della dama bianca, dopo lo sforzo
eccessivo che avevano compiuto le falangi e falangette varie, non sapevo cosa fare,
cosa altro tentare. Avevo pensato perfino al suicidio ma poi lo avevo scartato
immediatamente: anche per quel genere di cose ci vuole coraggio. A meno che non
ti fai una pera e chissà, quel che succederà dopo lo sa solo Dio, ammesso che a
lui interessi saperlo. Io però non lo sapevo, non lo avevo mai saputo, e non lo
avrei mai provato. Dovevo sbrigarmi tuttavia a cambiare volto: il mio nuovo profilo
doveva palesarsi al resto del mondo, prima che non ne avessi più avuto la
possibilità.
Ero ancora
vivo, dunque, anche se a stento mi trascinavo da una parte all’altra della casa,
raggiunto così di soppiatto dall’alito soporifero della depressione. In realtà,
pochi metri quadrati erano diventati una maratona infinita. Quale era il
traguardo? Quale la decisione finale? Mi sedetti in cucina, il posto della casa
dove meglio funzionava il wireless, con gli occhi diretti allo schermo del pc e
lo sguardo che tuttavia riusciva perfettamente ad oltrepassarlo. Dopo lunghi
minuti di ricerche e navigazione non avevo scovato altro che documenti senza
senso: la tesi di laurea di molti anni prima salvata in pdf e poi tantissime
foto di me e della mia ex ragazza, dei miei ex amici, del mio ex cane, della
mia ex vita. Nulla aveva più senso. Niente era più come prima. Decisi perciò di
aprire un sito porno, uno a caso, avendo scelto per quel momento la via della
masturbazione. La mano fu più rapida nell’esecuzione che nella scelta oculata
del materiale audiovisivo e così dopo mezzo minuto corsi in bagno a levarmi di
dosso il seme del mio fallimento.
Mi sentivo
leggermente meglio, grazie all’effetto del piacere-lampo, e per questo avevo
deciso di addormentarmi. L’indomani sarebbe iniziata una nuova vita, senza più
lavoro, senza una relazione stabile, solo un vecchio cane ingrato che mi
guardava, pur sempre dal basso, ma con aria di superiorità. Serviva un
cambiamento profondo, ed eccolo che arrivò. Mi erano venute in mente le parole
dei miei amici, quelli che allora credevo fossero tali, tatuaggi-barba-rasatura
ai lati, quando mi dicevano: “sei fuori dal mondo! Non hai facebook, non hai
whatsapp e nemmeno twitter. Ma dove credi di vivere? Il tempo dei rivoluzionari
è finito da un pezzo”. Io rispondevo alla sfida, tronfio di sapere, che non si
trattava di rivoluzione ma semplicemente di buon senso, di disgusto per il
disgusto, di amore per la privacy e per le buone maniere. Io – sostenevo a quel
tempo – ero palesemente nel giusto e loro, abitanti di un mondo virtuale, erano
dei poveri disgraziati, vittime dell’insicurezza generazionale e della moda passeggera.
Chi dei due sbagliava? Beh, evidentemente ero io in errore. Io che peccavo di
presunzione, che mi davo delle arie, che non guardavo al concreto, a come
girava il mondo. “L’amicizia non è una valore, è un opportunità”, mi dicevano
questi profeti del piacerismo.
Era dunque arrivato
il momento di guardare in faccia la realtà. Era giunto il momento di crearmi un
profilo su Facebook …
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