martedì 6 maggio 2014

Un sabato qualunque


di Lorenzo Fois

“È un sabato qualunque, un sabato italiano, il peggio sembra essere passato”, cantava Sergio Caputo nel 1983. L’Italia aveva da poco conquistato la Coppa del Mondo, i tristi presagi del declino erano, al più, materiale per indovini e aruspici. C’era il partito comunista, la democrazia cristiana, il partito socialista. Ci stavano tutti, e l’esito sappiamo qual è stato. Il calcio non era ancora la religione del mondo, o meglio del paese. I giocatori non avevano tatuaggi sul corpo, indossavano pantaloncini più corti e gli scarpini erano di un solo colore, il nero. Il mondo è cambiato da allora, la politica è cambiata, il calcio è cambiato. Gli stadi, tuttavia, sono rimasti gli stessi identici e fatiscenti ovali buoni al massimo per assistere ad una corsa ippica. Anche le televisioni hanno giocato la loro sporca partita in questa tragica e stupida vicenda. La crescita delle tv via cavo è infatti stata direttamente proporzionale allo svuotamento degli stadi, fenomeno in forte crescita in Italia e legato senza dubbio alla scarsa qualità degli impianti e alla pericolosità sempre più marcata di quelli che vengono definiti ultras. Genny ‘a carogna è uno di quelli, cosi come il De Santis, Speziale, e tutti quei criminali prestati allo sport. Tutti pseudo tifosi di una squadra, che inneggiano cori e sventolano mani tese al cielo, con la lama infilata nel calzino, e cercano visibilità dietro gesti eclatanti, mettendo sotto scacco lo Stato, come si è sentito dire più volte in questi giorni, ma che allo Stato, o al Contro-Stato, sono strettamente legati. Le facce sono quelle delle serie televisive incentrate su affari malavitosi e spargimenti di sangue. Gli occhi fanno da cornice a pupille dilatate da cocaina, alcool e rabbia. Rabbia per cosa? Per un lavoro che manca, per una donna che non sia la solita prostituta di via Salaria, per un’avversione campanilistica che assume i tratti della guerra civile? No, niente di tutto questo. Questa è gente che non lavora, non ama, non tifa. Questa gente è il reflusso di questa società, di una società malata, che ha creato falsi miti, che ha distrutto il vecchio in nome di un nuovo ancora incerto e indefinito. Di una società che ha occhi solo per la Domenica Sportiva e per i suoi opinionisti da quattro soldi, che crede alle parole di esperti di calcio mercato neanche fossero dei Pasolini o dei Montanelli, che guardano la telecamera e intanto sbirciano sul loro smartphone così, tanto per darsi un tono. Una società, un insieme di individui che ha perso la bussola e non capisce chi ha la palla e qual è la porta dove si deve segnare.
Il calcio è l’oppio dei popoli. E questo, di per sé, è sbagliato. Il calcio è sbagliato. Tutto quello che ruota intorno al calcio è sbagliato: Figc, Coni, Sky, Mediaset, Rai, Curve, giocatori, papponi seduti in tribuna d’onore.
La moralità italiana è quella cosa per cui si condanna chi ruba perché si è fatto beccare. È quella cosa per cui un insulto ad un negro vale di più di uno ad un ebreo o ad un cristiano. Tutti pronti a parlare, ad intervenire, ad attaccare. Si da la colpa a qualcun altro o a qualcosa per comodità, per lavarsi la coscienza. E poi, il giorno dopo, si ricomincia da capo. Dal punto di partenza, da nessun punto. Il moralismo italiano è una presa per il culo. Ora tutti in fila a dire la propria parola sentenziosa su Gennaro ‘a carogna. Persona, per carità, di indiscussa fetusia, per usare un termine neomelodico. Un individuo da mettere dentro ancora prima di vederlo nascere. Un uomo inutile al mondo. Ma ad un mondo che non esiste più, come il sabato di cui cantava Sergio Caputo. Il mondo di oggi è il prodotto di questa società, se non si fosse capito. Se il sabato è finito, perciò, il peggio non è ancora passato.

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