mercoledì 13 aprile 2016

L’ultima chiamata alle armi: le elezioni amministrative romane e la democrazia rappresentativa

di Lorenzo Fois



Totti primo cittadino, Jeeg Robot d’acciaio assessore alla scultura, il Tevere balneabile, i gatti d’Oriente.
E poi ancora: gravidanze simbolo, scherzi di cattivo gusto (tipo Adinolfi sindaco), la controversa vicenda dello stadio di Tor di Valle, morti improvvise (quella di Casaleggio) ma non impreviste (era malato da tempo).
Sembra la sceneggiatura di un film di Maccio Capatonda o magari la trama per una nuova, avvincente indagine del commissario Coliandro. Chissà se un giorno perfino Lercio.it diverrà la nuova gazzetta ufficiale!
Le elezioni amministrative per il comune di Roma (e non solo) stanno per arrivare, giacché, è bene ricordarlo, sono diversi mesi che i cittadini romani non hanno alcun sindaco, ovvero il garante democratico dell’amministrazione pubblica.
In questi mesi sui social network sono imperversati post, pagine facebook, commenti “memorabili”. I sondaggi d’opinione sono stati belli e sostituiti da queste nuove forme di democrazia digitale e con essa perfino il giornalismo è diventato un miscuglio di informazione e gossip (infotainment), sbilanciato sempre più verso quest’ultimo.
Molto più utili, a fini della strategia ottimale da utilizzare durante la campagna elettorale, e non solo, sono le nuove figure professionali di cui si serve (anche) la politica per ricavare informazioni utili provenienti da queste migliaia di flussi di dati (qualcuno ha scritto che Internet è il nostro secondo dna), da utilizzare con cura, in un secondo momento, sotto il versante della comunicazione, della pubblicità e del marketing. Questo la dice lunga sullo stato di salute della “nostra” democrazia. Insomma, il “cittadino consumatore”: niente di nuovo sotto al sole.
Ciononostante, l’essere umano deve sapersi adattare alle mutate condizioni esterne se non vuole soccombere, per una strabica quanto innata legge di natura, e non si possono negare nemmeno gli aspetti positivi che le nuove forme di comunicazione hanno introdotto.
L’intellighenzia critica i blog, tacciandoli di scarsa professionalità e competenza. C’è chi sostiene, al contrario, che forse le cose più interessanti si possono leggere ormai solamente su questi mezzi d’informazione, scevri da potentati economici che li muovono e li indirizzano dove meglio credono.
La democrazia, insomma, è in perenne trasformazione (almeno per quanto concerne le sue modalità d’espressione), ma il voto popolare, quello no, resta il caposaldo di questa forma di governo. Se non fosse che con il passare del tempo e delle diverse esperienze (destra, sinistra, centro, su e giù) numerosi cittadini hanno iniziato ad interrogarsi realmente sul vero significato del voto e sulle sue conseguenze.
Prendiamo in considerazione proprio Roma: tutte le campagne elettorali a cui abbiamo assistito negli ultimi quindici anni hanno parlato di strade, sicurezza, mezzi pubblici, traffico, tutela dell’ambiente. Bene, le strade sono messe sempre peggio, i mezzi pubblici recano disservizi unici al mondo (perché laddove non esistono, nel terzo mondo, il problema non si pone), il traffico e l’inquinamento hanno condotto a trovate di facciata, spesso ridicole, quali il blocco del traffico o le targhe alterne. E così via. Ogni problema esistente a Roma non viene mai risolto. E questo perché – è la tesi più plausibile – Roma è una città troppo grande, in cui hanno sede governo, Parlamento e tutta la miriade di ministeri, enti pubblici che rendono ancora più intricato e complesso qualsiasi processo di trasformazione.
Roma è in tilt, paralizzata dalla burocrazia, dalla corruzione, dall’inciviltà della grande maggioranza dei suoi abitanti. Roma è il posto peggiore per far funzionare la democrazia, almeno così come la conosciamo. È se è sempre vera la massima: “se non ti occupi della politica, la politica si occuperà di te”, non si può negare che in questo particolare periodo storico, in cui il capitalismo sembra avere avuto la meglio sulla democrazia, tanto da spingere perfino la sinistra sempre più a destra per non rimanere “fuori dal mondo”, la voce dei cittadini è diventata sempre più flebile e il voto popolare appare sempre più uno specchio per le allodole. Come risolvere il problema?
Nessuno ha la bacchetta magica e i problemi atavici di una città e di una collettività non possono certo essere risolti da trovate sensazionalistiche o da futile propaganda elettorale. Occorre affidarsi al buon senso e dare tempo a chi opera ai vertici dell’amministrazione, cosa che, ad esempio, non è stata fatta con il sindaco dimissionario. Ma anche vigilare, nell’ottica di una cittadinanza attiva, sulla politica e sui suoi amministratori.
Per farlo, occorre forse applicare un principio “federalista” anche all’interno della città (almeno di una città come Roma), affidando maggiori responsabilità ai municipi. Maggiore responsabilità implica anche maggiore controllo. Potrebbe non essere l’equazione vincente, quella individuata da Giachetti, ma forse l’ultima occasione buona per provare a cambiare qualcosa negli ingranaggi sempre più inceppati di Roma. 



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