E
così, mentre in Francia abbiamo assistito alle rivolte dei gillet gialli, che
hanno costretto il presidente Macron a concessioni importanti sul versante
della spesa pubblica, violando quella sorta di tabù che è il deficit (a
proposito, vediamo come reagirà l’Europa nei confronti dei nostri vicini di
casa), ebbene, in Italia la rivolta come sempre rimane circoscritta nei più
confortevoli ambienti domestici.
Non
che i toni siano meno violenti, chiariamoci. I social network sono dei
contenitori d’odio impareggiabili. Ma un conto è opporsi al Potere nelle forme
che il Potere da sempre teme (la mobilitazione, l’associazionismo, il
disordine), un altro è farlo attraverso i mezzi che questo ha istituito per
controllare meglio l’opposizione democratica, ossia l’individualismo
cibernetico e internettiano. Detto in termini più accademici: la dispersione
della partecipazione politica e della mobilitazione ai tempi della Web Publica.
Premetto
che chi scrive non vuole entrare nel merito delle ragioni che hanno scatenato
le proteste, sfociate in vere e proprie rivolte, dei cosiddetti gillet gialli.
Se ne è scritto e parlato già in maniera abbondante, in quell’orgiastica e morbosa
forma di giornalismo che è la cronaca politica. A cui si affianca, è giusto ricordarlo, l’opinionismo
democratico delle masse, forma espressiva di un intellettualismo
plebeo
che
vede coinvolte tutte le categorie sociali, perfino quelle protette.
Non
si cerca nemmeno di mettere in rilievo le caratteristiche storico-culturali di
una nazione, la Francia, che rendono il nostro paese, a confronto, un
agglomerato di provincialismo putrido e tremebondo. Bisognerebbe infatti tirare
in ballo la rivoluzione francese, la presenza della chiesa – almeno fino agli
anni Sessanta – nella nostra organizzazione statale e perfino il ruolo di
organizzazioni criminali, soprattutto nel sud Italia, che hanno da sempre
ostacolato l’organizzazione di un Capitale Sociale in grado di costituirsi come
un Anti-Potere.
Non
si vuole fare nessuna lezioncina di storia e geografia, insomma. Eppure, ci si
domanda, esisterà una differenza, così palese da poter essere osservata dalla
vasta platea degli opinionisti, fra l’assalto alla Bastiglia e quello ad un
centro commerciale la prima domenica di pioggia?
Determinerà
o no qualche conseguenza la protesta di piazza e la sommossa rispetto allo
stupro individualistico delle tastiere?
E
ancora. È preferibile, secondo voi, la manifestazione del dissenso o piuttosto il
sotterfugio che molti individui perpetrano per ribellarsi a un sistema
inefficiente e antipopolare che fa della corruzione un moto perpetuo ed
efficiente?
Le
rivolte dei gillet gialli altro non sono che l’organizzazione costituita del dissenso
(sebbene spesso sfoci in scontri anche molto violenti contro l’ordine
costituito), di quella che oggi rappresenta la frattura più importante all’interno
dei nostri sistemi democratici: il popolo contro l’élite.
Con
tutte le incongruenze e gli errori del caso, i gillet gialli sono in buona
sostanza il tentativo più riuscito di avanzare pretese verso i detentori del
potere.
In
Italia, cosi come negli Stati Uniti e forse in tutti i paesi occidentali, non
si è ancora compreso che votare contro un élite equivale semplicemente ad
esprimere la propria preferenza per una nuova, differente e speculare élite. Dal
momento che la democrazia rappresentativa, piaccia o meno, si fonda sulla
competizione (democratica) delle élite che eleggiamo.
Qualora
il popolo avverta la necessità di far sentire la propria voce, scardinando
anche per un breve periodo – quello delle sommosse – il meccanismo finora
descritto, allora è giusto che lo faccia nei modi e con i mezzi di cui si serviti
i rivoltosi francesi. Al di fuori, cioè, della normale dinamica dei sistemi
rappresentativi.
Infatti,
pur commettendo degli sbagli e andando oltre i limiti imposti dall’ordine
costituito, queste sommosse non potranno che rivitalizzare il sistema
democratico, altrimenti appiattito sulle tensioni dei mercati preoccupati da
questa o da quella manovra finanziaria.
La
contestazione e il disordine, in ultima analisi, fanno bene alla salute e
ringiovaniscono la Democrazia, oggi alle prese con il problema delle rughe e
della ritenzione idrica.
Lorenzo Fois
Scritto molto bene....Sono solo un appassionato e non un tecnico di scienze politiche, ma non mi interessa, mi piace comunque il confronto. Ogni popolo ha la sua storia ed è sempre complicato paragonare Le reazioni di un popolo all’altro. Soprattutto tra francesi e italiani. Credo che i francesi scendono in piazza perché riconoscono uno Stato, gli italiani forse ancora no. Comunque sono d’accordo: bisogna far sentire la propria voce non con vocali o video in una realtà virtuale che soddisfa poco più di un quinto delle reali potenzialità e capacità umane. Lo stile di vita, il controllo, le regole, e la tecnologia hanno limitato, quasi bloccato i nostri corpi. Non è un ragionamento complottistico, sa se ci vuoi vedere del marcio accomodati pure. L’esperienza del reale è multisensoriale e può avere conseguenze per una persona impaurita e sottomessa. Limitarci a guardare può essere l’unica soluzione per non farsi male. Indotta o autoindota non lo so, ma questa sembra essere la tendenza. Infatti prima la percezione sensoriale viveva in armonia, ora la vista ne ha assunto il controllo. Siamo spaventati dalle reazioni dei nostri corpi, nella maggior parte dei casi non le riconosciamo più. Attuare dei piccoli sabotaggi o cambiamenti nella nostra quotidianità potrebbe aiutarci a riappropriarci di noi stessi in quanto umani e non profili. Vivere l’esperienza del reale significa essere pienamente noi stessi nel nostro spazio, non in quello del Logaritmo. Nell’esperienza del reale potremmo ritrovare l’autentica felicità come il vero dolore e solo chi non ha il coraggio di vivere decide di continuare a guardare il monitor. Cmon feel The noise.
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