domenica 11 ottobre 2015

Popolo-giudice


È stata la sua settimana, senza dubbio, c’era da aspettarselo. Era nell’aria. Il sindaco s’è fatto fregà da una delle tante ottobrate romane. Caduto Marino, è però iniziata a cadere anche la pioggia, come se pure lei non stesse aspettando altro. Strano vizio, va detto, quello di fare cadere i governi in Italia (anche se nello specifico si è trattato di dimissioni). Una pratica sempre diffusa, che accompagna e forse porta a coronamento quell’altra grande usanza popolare: il tifo.
Una democrazia che ricorda sempre più uno stadio. Solo che qui non si racchiude tutto in una partita, di novanta minuti, giocata la domenica. I mezzi di distrazione di massa hanno dato una bella mano ai detrattori del sindaco. #Marino vattene, #Roma fa schifo, #Welcome to favelas sono state le insegne luminescenti che hanno preparato il terreno per la sua marcia funebre. E poi le (finte) inchieste mediatiche sui rom, sui loro crimini, quelle (purtroppo vere) sulle strade sporche e disastrate. Le polemiche sui suoi viaggi, sulle sue spese, sugli inviti, sulle bici. In sostanza, la partita si è giocata su un altro campo, quello molto più promiscuo e incontrollabile della comunicazione politica duepuntozero. La comunicazione fai da te, quella senza filtri, quella che ognuno po’ dì la sua, dove un like, essenzialmente, conta più di un voto.
Dopotutto, non è certo il sottoscritto a dire (o ad avvertire secondo i punti di vista) per primo che uno dei più grandi pericoli per la democrazia è la democrazia stessa. È nel suo seno che si annidano i germi della sua auto-distruzione. Il popolo, ahimè, non contribuisce certo al corretto funzionamento di questo sistema, semmai esaspera le sue criticità. E quello del popolo-giudice, immagine di cui si servono numerosi filosofi e politologi, è senza dubbio l’aspetto su cui più vale la pena porsi interrogativi. Se per trovare una soluzione al problema della scarsa partecipazione e mobilitazione politica che c’è oggi in Italia, e non solo, si pensa che basta sostituire al mondo (per quanto poco edificante) della realtà fisica quello della realtà virtuale, beh, si rischia di fare danni ancora peggiori.
La politica ha i suoi tempi e per “giudicare” l’operato di un amministratore pubblico ci vuole del tempo. Specie se questa persona opera in una città come Roma (insomma, non proprio Casal Busterlengo). Capacità di riflessione e di critica, in linea di massima, male si coniugano con strumenti come Twitter, Facebook ecc. Per costruire un palazzo, bisogna partire dalle fondamenta e non dalle finestre.
Marino è stato fatto fuori, come in una faida tra clan rivali, da tutti quei poteri che già si spartivano Roma e che sempre se la spartiranno, con la complicità anche di tutti coloro che hanno “giudicato” Marino sin dal primo giorno per via di quella sua faccia un po’ così, come si dice carinamente in questi casi. E questo forse è l’aspetto più inquietante della vicenda: su quali parametri ormai si fondano i “giudizi” delle persone?
E ora? Tutti quei romani che speravano che Marino sparisse definitivamente dalla loro vista, come si rapporteranno col nuovo sindaco? Faranno il tifo o lo ostacoleranno? Quando si accorgeranno che le buche sono un problema endemico e che gli zingari continueranno a condurre la loro vita come sempre hanno fatto nel corso della storia, a chi daranno la colpa?
La faccenda insomma non finisce qui…
#RomaRiacchiappate#Accannatecostisocial#smetteteladedicazzate

Lorenzo Fois

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