È stata la
sua settimana, senza dubbio, c’era da aspettarselo. Era nell’aria. Il sindaco
s’è fatto fregà da una delle tante ottobrate romane. Caduto Marino, è però
iniziata a cadere anche la pioggia, come se pure lei non stesse aspettando
altro. Strano vizio, va detto, quello di fare cadere i governi in Italia (anche
se nello specifico si è trattato di dimissioni). Una pratica sempre diffusa,
che accompagna e forse porta a coronamento quell’altra grande usanza popolare:
il tifo.
Una
democrazia che ricorda sempre più uno stadio. Solo che qui non si racchiude
tutto in una partita, di novanta minuti, giocata la domenica. I mezzi di distrazione
di massa hanno dato una bella mano ai detrattori del sindaco. #Marino vattene, #Roma fa schifo, #Welcome
to favelas sono state le insegne luminescenti che hanno preparato il
terreno per la sua marcia funebre. E poi le (finte) inchieste mediatiche sui
rom, sui loro crimini, quelle (purtroppo vere) sulle strade sporche e
disastrate. Le polemiche sui suoi viaggi, sulle sue spese, sugli inviti, sulle
bici. In sostanza, la partita si è giocata su un altro campo, quello molto più
promiscuo e incontrollabile della comunicazione politica duepuntozero. La comunicazione fai
da te, quella senza filtri, quella che ognuno
po’ dì la sua, dove un like,
essenzialmente, conta più di un voto.
Dopotutto,
non è certo il sottoscritto a dire (o ad avvertire secondo i punti di vista)
per primo che uno dei più grandi pericoli per la democrazia è la democrazia
stessa. È nel suo seno che si annidano i germi della sua auto-distruzione. Il
popolo, ahimè, non contribuisce certo al corretto funzionamento di questo
sistema, semmai esaspera le sue criticità. E quello del popolo-giudice, immagine di cui si servono numerosi filosofi e
politologi, è senza dubbio l’aspetto su cui più vale la pena porsi
interrogativi. Se per trovare una soluzione al problema della scarsa
partecipazione e mobilitazione politica che c’è oggi in Italia, e non solo, si
pensa che basta sostituire al mondo (per quanto poco edificante) della realtà
fisica quello della realtà virtuale, beh, si rischia di fare danni ancora
peggiori.
La politica
ha i suoi tempi e per “giudicare” l’operato di un amministratore pubblico ci
vuole del tempo. Specie se questa persona opera in una città come Roma
(insomma, non proprio Casal Busterlengo). Capacità di riflessione e di critica,
in linea di massima, male si coniugano con strumenti come Twitter, Facebook
ecc. Per costruire un palazzo, bisogna partire dalle fondamenta e non dalle
finestre.
Marino è
stato fatto fuori, come in una faida tra clan rivali, da tutti quei poteri che
già si spartivano Roma e che sempre se la spartiranno, con la complicità anche
di tutti coloro che hanno “giudicato” Marino sin dal primo giorno per via di
quella sua faccia un po’ così, come si dice carinamente in questi casi. E
questo forse è l’aspetto più inquietante della vicenda: su quali parametri
ormai si fondano i “giudizi” delle persone?
E ora? Tutti
quei romani che speravano che Marino sparisse definitivamente dalla loro vista,
come si rapporteranno col nuovo sindaco? Faranno il tifo o lo ostacoleranno?
Quando si accorgeranno che le buche sono un problema endemico e che gli zingari
continueranno a condurre la loro vita come sempre hanno fatto nel corso della
storia, a chi daranno la colpa?
La faccenda
insomma non finisce qui…
#RomaRiacchiappate#Accannatecostisocial#smetteteladedicazzate
Lorenzo Fois
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